venerdì 30 novembre 2012

I senza-tempo, di A. Forlani

Sono molto lento nel leggere, o meglio è il mio metodo che rallenta la lettura.
Io infatti normalmente ho un libro sul comodino per la sera (che è quello che vedete nella bandella laterale), e l'altro è quello che mi porto appresso in borsa e che leggo nei momenti liberi, in coda, ecc.. Non che questo secondo sia il libro che mi interessa di meno, perché a volte riesco a leggere anche un'ora senza interruzioni, e questo facilita spesso l'apprezzamento che nasce per un testo.
In questo caso il libro di cui voglio parlare oggi ricade tra quelli da borsa.
Avrete capito dalla foto che di copertina del post che sto' parlando de I senza-tempo, di Alessandro Forlani, autore che avevo anche intervistato qui.
Questa è la trama dalla IV di copertna:
Chi sono il dottor commercialista Totali, l’avvocato fallimentare Pantocrati, il notaio Maggioritariis? E soprattutto, chi è Monostatos il risvegliato? (Questi nomi, presi a prestito nel 2012, nascondono attività mostruose.) Chi ha assassinato i bambini di una scuola elementare di provincia, divorandoli? (Le indagini sono tuttora in corso.) Cosa vogliono gli Archiburoboti, invasori meccanici già in marcia nel 2024? L’intempestiva risposta arriverà nella spaventosa Italia che ci aspetta nel 2036, in un romanzo di magistrali nefandezze e originalità assoluta, vincitore del premio indetto annualmente da Urania.
Non starò a disquisire se per I senza-tempo (che ha vinto il premio Urania e il premio Kippel nello stesso giorno!) si possa parlare di fantascienza, o di fantasy o di horror; se nel libro ci sarebbe una non tanto velata critica alla società moderna; se il linguaggio barocco (alternato a quello contemporaneo, a seconda dei personaggi) usato da Alessandro sia una novità nel panorama della scrittura italiana, ecc. ecc.. Chi conosce Forlani di tutte queste cose un'idea se l'è fatta già.
D'altra parte, come sono uso fare, vi devo rimandare a una recensione seria che dica tutto quello che c'è da sapere sul libro. Ma poiché le recensioni sono state tantissime, tutte interessanti e, sicuramente, continueranno anche nei prossimi giorni, in questo caso ne citerò solamente una (questa, e non me ne vogliano gli altri: è quella che si avvicina di più al mio concetto di recensione) e vi rimando al label recensioni del blog di Alessandro, in cui troverete tutte le altre.
Allora di che vi devo parlare io, se è stato detto tutto e il contrario di tutto su I senza-tempo?
Naturalmente saranno le mie sensazioni, per che cosa mi ha preso alla pancia e non mi ha mollato per tutte le 100 pagine della storia. 
Leggere I Senza-tempo mi ha fatto vivere una claustrofobia temporale. Quel mondo, disarcionato e impazzito, alla deriva, mi ha messo paura. Vien voglia di scappare dalla storia, di rifuggiarsi nella normalità quotidiana che viviamo. In certi momenti la narrazione arriva a raccontare episodi abominevoli, da puro horror.
E invece poi mi sono accorto che è una fiaba che dice a chiare lettere che l'abominio dei senza-tempo è, purtroppo e spesso, l'abominio di chi regge di nascosto le sorti del nostro mondo, di chi manovra i fili dell'economia, della politica dei nostri giorni. Gli altri senza-tempo che vivono mimetizzati e che non vogliono mostrarsi apertamente (a differenza di Monostatos) per quel che realmente sono, lo fanno proprio per poter continuare ad agire indisturbati. E forse che chi, nella nostra realtà, vuol governare dietro le quinte non si nasconde dietro il buonismo (o lo splatter) dei nostri programmi televisivi? Essere inondati di menzogne ben mascherate da informazione giornalistica non fa forse parte della nostra quotidianità, al punto che ne siamo assuefatti e non sappiamo (o vogliamo?) discernere più qual'è la verità e qual'è la menzogna?

Mi sono detto, durante la lettura, che quel tempo non è il mio tempo e che quella storia è solo un romanzo di fantasia, quanto meno per non soffocare nel miasma dei corpi morti e fatti a pezzi, ingurgitati (... un automa servì (a Monostatos) su un piatto il tubo carnoso di un intestino umano. Il vecchio lo sgranò fra le dita, succhiò). 
E spero che non lo diventi mai; anche se si cambia, personalmente e insieme.
Si cambia per convenienza, per costrizione, per ineluttabilità delle cose. È proprio un altro dei personaggi, Iron, che era un duro, a spiattellarci davanti la realtà : Lui (Rommel) con l'elmetto calzato in testa, tira dritto tutti i giorni nel suo casino. Noi facciamo finta che questo mondo non vada alla rovina, ci imboschiamo allo schifo. Io portavo una croce rovesciata, spaccavo i culi, ero un'anima nera: l'anno prossimo mi sposo in chiesa, seguo i corsi per i fidanzati e la lista nozze l'ho fatta all'Iper. Tu ti strafogavi di tutto, non prendevi mai niente sul serio: adesso ti depili, ti spalmi di correttore. ... Tu e io ci piasciamo nelle mutande, non lui.

Forse che la salvezza verrà a noi dalla follia? Il mondo che abitiamo ha bisogno di più follia, di più immaginazione? Così come nel libro c'è Rommel, ragazzo autistico, che sferra il suo attacco con armi della seconda guerra mondiale e che costruisce, quasi fosse un lavoro di decoupage e modellismo, un panzer a partire da una semplice macchina cingolata? Lui che vorrebbe sconfiggere con queste armi improvvisate gli invincibili archirobuti, automi di ossa umane smaltate, con giunture di caucciù e d'ottone; il cervello si consumava nel cranio, scoperchiato a braciere, nella fiamma grigioscuro di un gas che sfiatava da cannule avvitate all'occipitale. Carpi, metacarpi e falangi ... in parte sostituite da iniettori e coltelli. Pare di leggere ancora di Don Chisciotte. Ma in questo caso Don Chisciotte... non vi posso svelare il finale, è contro ogni regola del saggio lettore.
Detto tutto ciò, alla fine della lettura ho tirato un sospiro di sollievo: mi è sembrato di uscire dallo stato di claustrofobia temporale in cui mi ero calato; anche se devo ammettere di aver cominciato a guardare tante cose attorno a me con occhi diversi.
Comunque, non abbiate paura, non lasciatevi trascinare dai miei rigurgiti da intellettuale sinistrorso che vorrebbe sferzare il mondo e i suoi costumi: I senza-tempo è anzitutto un buon libro, che si legge alla svelta e che fa (anche) riflettere, ma solo se lo volete. 
Altrimenti godetevi una lettura spensierata e lasciatevi trascinare da una storia come si deve!
Voto: 8

P.S.: lo so', sono un precisino di quelli che fa imbestialire tanti bravi blogger, ma una una domanda (malignetta) per Alessandro e il suo editore ce l'ho: perché il nome del personaggio Clara nell'indice diventa Chiara? ah, non ci sono più i correttori di bozze di una volta!

TIM

mercoledì 28 novembre 2012

Arcani vs. Bacone. Un crossover (racconto)

Perché il detective privato Andrea Arcani è costretto a dormire su un vagone abbandonato nella stazione di Vercelli? E chi è Andrea Arcani? E perché Màrika Garrone è preoccupata per un cellulare da 500 euro? E perché Gennaro Bellagamba è geloso del suo collega, l'agente Nino Geremicca? E perché avete letto fin qui se non si capisce niente?
Niente paura, tutte le risposte sono in questo Arcani vs Bacone. Un crossover una produzione Geta - Gravina ai limiti della letteratura. Scaricate e leggete. E poi, se volete, fateci sapere: sono gradite vostre notizie.

Nino

martedì 27 novembre 2012

Di scrittura, commissari e sorprese

ritmo 105 tc di Gennaro Bellagamba
In questi ultimi 2-3 anni, dal punto di vista della lettura e della scrittura, sono cambiate per me un po' di cose. Sono passato dall'esperienza del Survival Blog, con l'entusiasmo di inserirmi anch'io con le Cronache da un altro mondo, alla casa che nasconde ma non perde, un round robin dove c'è anche il mio penultimo capitolo. Nel frattempo ho pubblicato qualche raccontino che resta sempre nell'ambito del fanta-horror, se vogliamo dire così.
Tutto quello che ho messo on line, comunque, lo trovate qui.
Poi ho conosciuto un personaggio, il commissario Wallander, col suo autore Henning Mankell. Ed è stata la svolta di Ystad.
Da allora le mie letture, e i miei temi preferiti di scrittura, hanno deviato terribilmente verso il giallo, il noir, il poliziesco. (A proposito, per chi non lo conoscesse ripresento questo bellissimo testo di Andrea Carlo Cappi: Elementi di tenebra. Manuale di scrittura thriller. È un manuale di scrittura, ma c'è anche la storia del genere giallo, in tutte le sue sfumature)
Non che non avessi mai letto un giallo. I miei migliori ricordi di adolescente sono di me, nella nostra casetta estiva di montagna, a divorare gialli mondadori usati dove Charlie Chan, Perry Mason, Ellery Queen, Phylo Vance, Jules Maigret e tanti altri risolvevano sempre il loro caso. Quei gialli stampati negli anni '60-'70 con quel bel profumo di carta che oggi fa imbestialire più di un amante della lettura digitale. Ma a me non interessano né il digitale, né il profumo della carta: a me interessano le storie. Punto.
Dicevo allora di questo mio ritorno al giallo. Un giallo oggi forse più psicologico, più attento alla realtà sociale rispetto a quei romanzacci (in senso buono!) americani del dopo guerra, dove l'eroe di turno sparacchia a destra e a manca finché non si trova da solo a solo col cattivo e lo castiga come pochi. Ma anche quelle erano belle storie. Non tutte, ma la maggior parte.
E oggi ho imparato che ci sono tantissimi bravi autori italiani che scrivono di giallo, che ambientano le loro storie in Italia. Si potrebbe dire che stiamo invertendo la rotta: negli anni '50 abbiamo seguito Frank che arriva dalle campagne del Montana a New York a scoprire che fine ha fatto la sua adorata Molly; oggi, finalmente c'è Mimmo che si perde a Milano per vendicare l'omicidio di Gianni che faceva il barbiere a Mirandola. Non che negli anni passati siano mancati i giallisti di casa nostra: dove li mettiamo i Macchavelli, gli Scerbanenco, solo per citare i più noti?
Così ogni volta che giro per mercatini o bancarelle di libri usati, sono sempre alla ricerca di autori italiani da scoprire. E ho un occhio di riguardo per loro alle uscite in edicola.
Nel mio piccolo, come penso sapete, ho creato lo strano gruppo del commissariato della mia città dove, pur essendoci un commissario che dovrebbe monopolizzare la scena, nell'arco dei tre lavori pubblicati finora (due racconti brevi umoristici e un racconto lungo) sono i personaggi secondari a rubare quasi la scena al capo. 
E scrivendo ho scoperto le dinamiche che muovono questo gruppo: le gelosie tra il siciliano Geremicca e il campano Bellagamba; la sovrintendende Màrika Garrone con la sua perspicacia che non ha ancora raggiunto la consapevolezza dei propri mezzi e continua a ricercare sempre l'approvazione degli altri; il fancazzismo dell'ispettore Conci, che nessuno può vedere all'interno dell'ufficio; il buonismo distaccato del commissario Bacone, che fa da chioccia a tutti gli altri. È proprio vero che quando si scrive bisogna avere ben presente un plot, ma poi bisogna lasciare mano libera ai personaggi.
Tutto questo per dirvi alcune piccole cose.
Ho ripreso, proprio da pochi giorni, la scrittura del secondo racconto lungo, che avevo inziato nei primi mesi di quest'anno e poi abbandonato. E devo dire che la cosa mi sta prendendo la mano: le idee non mancano e la storia mi si sta chiarendo sempre meglio in testa.
E poi ci sono due cose nuove. Una è un raccontino di circa 5mila parole, per il quale sto aspettando il nulla osta da un personaggio che tutti conosciamo, il quale... ma non posso dirvi di più! sappiate solo che è già tutto pronto e appena c'è il placet ve lo do in pasto!
La seconda è un altro raccontino che... ma anche qui dovrete aspettare, anche se solo fino a domani!
Restate in linea!

TIM


(pubblicato qui)

venerdì 23 novembre 2012

Il giuramento, di J.C. Grangé

Avevo anticipato che avrei parlato di un libro molto interessante, ed eccomi qua.
Ho voluto aspettare qualche giorno dalla conclusione della sua lettura per avere la mente meno coinvolta e più lucida per parlarne in modo obiettivo.
Perché questo Il giuramento di J.C. Grangé è uno di quei libri che coinvolge fin nel midollo. Un coinvolgimento che non mi capitava più dai tempi della lettura dei capolavori di un certo Stephen King, anche se qui siamo su registri un po' diversi, su argomenti meno fantaorrorifici e più... plausibili, se mi passate il termine.
Giustamente mi direte: come facciamo a sapere di che parli, di quali sono questi argomenti plausibili se non ci presenti il libro?
Avete ragione, perciò eccovi la trama:
Trovato quasi assiderato in un fiume con dei pesi intorno alla vita, Luc Soubeyras evidentemente ha cercato di uccidersi: è un miracolo se adesso giace in coma in ospedale. Solo il collega della squadra Criminale di Parigi Mathieu Duray, miglior amico di Luc dai tempi del seminario, non crede all'ipotesi del suicidio. Non gli resta che indagare sul passato dell'amico: c'è infatti un'inchiesta segreta condotta da Luc all'insaputa di tutti, l'indagine sulla morte di una donna uccisa secondo un rituale particolarmente efferato. Un rituale presente anche in altri delitti compiuti in varie località d'Europa. Ciò porterà Mathieu sulle tracce di un inquietante setta (quella degli Asserviti e dei Senza Luce). I suoi membri sono accomunati da un terribile trauma: tutti si sono svegliati dal coma ed hanno vissuto un'esperienza di "pre-morte" che li ha cambiati per sempre perché per tornare tra i vivi hanno stretto un patto con il diavolo... (da qui).
E per avere una recensione seria del libro non posso che rimandarvi a questo articolo di Alex Girola, che ha dedicato all'autore addirittura un post, questo.
Ora, sarà la mia formazione culturale che mi ha portato ad approfondire proprio quegli argomenti (e mi ha lasciato ateo), ma mi sono ritrovato oltre che a leggere un bel libro, a seguire personalmente la lotta tra due impostazioni di fede: il diavolo esiste come entità fisica, distinta da dio, o è semplicemente la rappresentazione del male?
E non pensate che tutto questo venga fuori da lunghi dialoghi o esasperanti lezioni di teologia. Assolutamente! Mi sono trovato queste domande esposte semplicemente all'interno della narrazione, sbucate fuori tra un colpo di scena e l'altro. L'autore riesce a leggere una realtà fatta di morti orrende in giro per l'Europa, di inseguimenti all'ultimo spasimo, di voltafaccia da romanzo spionistico, semplicemente come la materializzazione degli eterni dilemmi dell'uomo: esiste un dio? e se sì, come può permettere questo genere di cose? e ancora: come c'entra satana in tutto questo?
La narrazione serrata, dove quasi ad ogni pagina succede qualcosa che cambia il corso degli avvenimenti, nasconde l'angoscia personale di Matt Duray, il protagonista che si ritrova a fare il poliziotto dopo aver pensato di dedicare la sua vita proprio a quel dio che ora cerca di riconoscere nella miseria e nella violenza. E che deciderà, quando tutto sarà finito nel modo meno prevedibile, di... no, questo non ve lo dico, perché è un ulteriore e ultimo colpo di scena.
Il giuramento è, comunque, anche e soprattutto un bel libro da leggere. Ogni scena si incastra con l'altra alla perfezione e tutti i nodi, come si suol dire, vengono al pettine, anche se di carne al fuoco ce n'è più che a sufficienza.
È un libro che trascina, che ti ritrovi a considerare, pagina dopo pagina, non il semplice parto di una fantasia super, ma una storia che stai vivendo in prima persona. Erano anni che non mi facevo coinvolgere così, che non mi facevo le stesse domande del protagonista, che non mi  scervellavo anch'io per cercare di capire il disegno che piano piano si dipanava davanti a lui.
Alla fine delle 600 e passa pagine (nell'edizione pocket che ho avuto in mano) mi sono sentito soddisfatto, ma anche sfiancato, come Matt Duray. E soprattutto mi sono sentito pronto per leggere un altro libro di Grangé.
E di tutto questo non posso che ringraziare Alex, che a suo tempo me lo aveva consigliato, proprio pochi giorni prima che in edicola arrivasse l'edizione che poi ho comprato. Voi credete alle coincidenze? Io comincio a dubitare.

TIM

martedì 20 novembre 2012

La donna del Campione, di P. Colaprico


Nella citta di M., attraversata dalle sirene e popolata di investigatori in affanno per il rapimento di Elvio Wolfson, ultimo rampollo di una dinastia di ricchi imprenditori un po' chiacchierati, s'incrociano i destini di tre uomini. Corrado Genito, ex carabiniere cacciato dall'Arma e titolare di una quotata agenzia di consulenza per la sicurezza, è stato ingaggiato da Maretta Zara, l'ex "ragazza immagine" che ha sposato Wolfson, per aprire un canale di contatto con il clan dell'Anonima all'insaputa dei magistrati. Avrà un'idea geniale, ma davvero spregiudicata per tentare di salvare il rapito. Cosmo Sconosciuto, un killer appassionato di mare e nuotate, è costretto a lasciare la sua vita spesa tra assaggi di pesce crudo e omicidi altrettanto crudi per tornare nella Città di M., dove è stato un famoso rapinatore: Cosa Nostra gli ha assegnato un lavoro speciale e può farlo solo lui. Nel frattempo, l'ispettore della squadra Mobile, Francesco Bagni, il "cervello" della sezione Omicidi, sta cercando di risolvere il caso di un cadavere sfigurato dalle fiamme, ma si ritroverà a frugare tra saloni massaggi e bar di malavita, mentre cerca di mettere pace anche nel suo cuore, diviso tra due donne.
È la trama, dal risvolto di copertina, di La donna del campione, noir di Piero Colaprico, giornalista (attualmente a La Repubblicache si occupa di giustizia e di nera (è quello che, per intenderci, a suo tempo coniò il temine Tangentopoli); ma che è anche, come in questo caso, scrittore noir.
E se andiamo a spulciare, ci rendiamo conto che di romanzi Colaprico ne ha scritti parecchi, da solo o in concorso con altri. Basti ricordare la collaborazione con Pietro Valpreda per i primi 3 libri della serie del maresciallo Binda; e soprattutto i tre racconti lunghi riuniti nel volume Trilogia della città di M. con protagonista l'ispettore Bagni, con cui ha vinto nel 2004 il Premio Scerbanenco ex aequo con Barbara Garlaschelli.
Che dire di questo La donna del campione?
Anzitutto vi invito, come sempre, ad andarvi a leggere una recensione seria (questa potrebbe andare benissimo) e poi a continuare questo post. 
Perché io vi darò solo le mie solite sensazione, qualche immagine che mi è passata per la testa mentre scorrevo le pagine del libro.
Ecco. Ci sono libri che invitano con la pistola puntata alla tempia a girare pagina (come quello che ho appena finito di leggere e di cui vi parlerò spero presto). Altri che tengono attaccato al foglio non proprio con la stessa urgenza ma quasi.
La donna del campione è fra questi ultimi, complice anche il tono a volte lieve della sua narrazione, e i personaggi che si prendono sul serio ma fino ad un certo punto. Non sto dicendo che sia un libro leggero, ma che la bella storia è narrata così. Attenzione!, non è un libro per signorine, come si usa dire, o uno di quei gialletti rosa in stile Harmony (con tutto il rispetto per chi legge questo tipo di letteratura), ma la cronaca, pur a tratti serrata e violenta quanto basta, non fa fare i salti sulla sedia.
Detto questo, devo anche dire che la storia, narrata da diversi punti di vista (l'investigatore Corrado Genito, l'ispettore Francesco Bagni, il killer Cosmo Sconosciuto), scorre bene; l'intreccio scioglie alla fine tutti i suoi nodi; e non manca qualche capitolo d'azione e qualche colpetto di scena finale.
Fra i tre protagonisti, a me è sembrato che il principale in questo caso sia più l'investigatore privato Corrado Genito che il poliziotto, forse perché manovra la vicenda un po' come vuole lui; ma si sa che chi non è costretto dalle maglie della legge può muoversi con più libertà in certi ambienti.
Ho trovato poi uno altra protagonista in questa storia, oltre i tre già citati, ed è la città di M. (chiaramente si allude a Milano) col suo interland, i suoi viali, le sue periferie. E, impressione personale!, per come viene descritto il suo sottobosco, quella M. maiuscola puntata potrebbe anche essere intesa come città di m... , nel senso delle deiezioni propriamente umane.
Insomma leggerei volentieri un altro libro di Colaprico, magari con lo stesso ispettore Bagni come protagonista (sapete che io vado in sollucchero per i personaggi seriali!). 
Un voto? 7 pieno.
Un libro che consiglierei anche a Odette.

TIM

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sabato 17 novembre 2012

Tra choosy e nostalgici di Odino


Qualche giorno fa discorrevo con Odette dopo un frugale pasto a base di minestra d'orzo e farro e un paio di fette di torta ricotta e cioccolato, e lei mi ha fatto leggere quest'articolo dal blog di Gad Lerner. Sono così andato a curiosare sul sito di questi amiconi di Alba Dorata Italia e mi sono fatto un'idea della situazione. 
La prima cosa che ho capito è che con la politica puoi fare i soldi. E non solo perché puoi diventare tesoriere o assessore a qualcosa e intascarti quanti soldini vuoi, ma perché, come in questo caso, puoi giocare alla catena di s.antonio. È come entrare in uno di quegli ingranaggi da marketing piramidale, dove guadagni se porti altri polli da spennare. Testualmente, infatti, nel sito dei nostri amicissimi si dice: Sappi che per ogni iscritto che porterai dentro la nostra organizzazione ti sarà riconosciuto il 40% della sua quota per il disturbo e come rimborso spese. Certo è un disturbo andare a trovare altri furbetti pronti a guadagnare a loro volta e il rimborso spese sarà dovuto alla refusione delle spese fatte per gli aperitivi al bar dove si portano i futuri difensori della razza italica.
Che poi il 40% non è mica male! Facciamo due conti: ponendo che la tessera costi 100 euro all'anno (sparo cifre a caso!), il 40% sono 40 euro. Con due proseliti e mezzo mi ripago dalla spesa e col terzo intero comincio a guadagnare 20 euro. Fischia! C'è da inventarsi un lavoro!
Dando una scorsa al sito dei nostri fustacchioni ho trovato la risposta a quasi ogni male del secolo e, soprattutto, ho letto il 90% delle cose che ogni giorno leggo su Facebook da parte dei miei contatti/amici. Al che mi sono detto: ma dove sono andato a finire (parlando del sito)? Le cose sono due: o il populismo sbanca su FB o sbanca tra quelli di Alba Dorata. Provare per credere!



una fetta di torta?
Lasciando ai sogni e al trastullo questi novelli fustigatori degli italici (s)costumi, vorrei fare un'altra riflessione. Vi avverto che, come spesso accade, dirò cose che sicuramente nessuno di voi accetterà e condividerà, ma (come si dice sempre) il blog è mio e ci scrivo quello che voglio.
Vorrei tornare al famoso discorso del... choosy.
Andando a riprendere anche solo le parti della famigerata allocuzione della ministro Fornero riportate dai giornali (si può dire giornali sul blog?) ho letto questo: "I giovani escono dalla scuola e devono trovare un'occupazione. Devono anche non essere troppo 'choosy', come dicono gli inglesi" ... "Lo dicevo sempre ai miei studenti: 'Prendete la prima, poi da dentro vi guardate intorno'. Bisogna entrare però nel mercato del lavoro. Anche se adesso non è più così in un mercato tanto difficile e debole come quello che abbiamo in questo momento, ma abbiamo visto tutti dei laureati che stavano lì in attesa del posto ideale. Non è così, nel mercato ti devi attivare: devi entrare e magari migliorare, con la formazione, e devi metterti in gioco".
Ora io, prima di andare avanti, vi chiedo, e siate onesti: quanti di quelli che leggono, in questo momento sta svolgendo un lavoro che ritiene adeguato alle proprie capacità e al proprio titolo di studio? Perché se pensate di essere sottosfruttati, dovreste essere conseguenziali e andare domattina a presentare una bella lettera di dimissioni, motivando con: io ambisco a ben altro e la mia laurea in ... o il diploma in ... (mettete voi) mi consente di pretendere di più!
Per fortuna che i vostri strali fisici e verbali non passano attraverso questo monitor che ho davanti, altrimenti a quest'ora sarei già in attesa dell'ambulanza che mi porti al Pronto Soccorso, nella speranza di non incontrare un medico che invece ambiva fin da piccolo a fare l'ingegnere e ha dovuto ripiegare.
Anzitutto, se io dico: i medici sono macellai, non intendo normalmente dire che tutti i medici sono macellai, ma che ci sono medici che lo sono. E se dico che i giovani non devono fare gli schizzinosi, non mi rivolgo di certo a quelli che non lo sono!
Sarei io il primo felicissimo che i giovani (e meno giovani) di oggi, che vivono loro malgrado in questa nazione, possano fare la loro parte nella società assecondando i propri ideali e sogni. Anche perché lavorerebbero con entusiasmo e ottimi risultati. Ma proprio perché viviamo in questa società e non in un'altra, forse un po' di flessibilità non guasta. Dobbiamo contestare giustamente la situazione economica e sociale in cui viviamo, ma dobbiamo cambiarla! E per cambiarla, ci dobbiamo stare dentro.
Anch'io, pur alla mia età, ho dei sogni da realizzare, delle cose che vorrei fare, ma per mandare avanti la famiglia, per adesso faccio il lavoro che sto facendo, così come prima mi sono adattato a farne tanti altri, e non proprio tutti adatti alle mie capacità e alla mia preparazione culturale. E poi, quanti sono i capitani d'industria che hanno iniziato facendo i facchini nell'azienda che adesso stanno guidando?
E mi sono consolato l'altro giorno: sarò un disfattista a pensare così, ma vedo che la realtà è, in generale, proprio quella prospettata.
Nel mio piccolo, infatti, sono a contatto con gente che, alla ricerca di un lavoro, invia curricula a destra e a manca. E nell'attesa che il foglio passi nella macchina del fax per giungere sul tavolo del marchionne di turno, parlo con loro. E se qualcuno mi dice: in questo momento prendo quello che c'è, per cominciare, perché non posso continuare a rimanere a casa alle spalle dei miei; c'è anche chi dice: o è quello che chiedo o niente. Rispetto entrambi, ma mi permetto di avere le mie preferenze.
Dicevo che l'altro giorno ho capito di non vedere solo io tutto in un certo modo; ma c'è chi, come Paolo Citterio che lavora sul campo (essendo presidente nazionale dell’Associazione direttori risorse umane), afferma che fare fotocopie o l'apprendista-qualcosa non è al primo posto dei pensieri dei giovani italiani. E se lo dice lui che queste cose le tocca con mano ogni giorno... .
Perché ci sono giovani che non sono choosy, e ci sono di quelli che lo sono.
Allora, se mi posso permettere il pippone finale, dobbiamo continuare a sognare l'Italia che vogliamo, il lavoro che vogliamo, la società che vogliamo. Ma facciamolo con gli occhi aperti sul qui e ora. Nessuno vieta a nessuno di cambiare il mondo (ricordate l'immaginazione al potere?), ma il mondo da cambiare è questo, non un altro; e noi ci viviamo dentro, che ci piaccia o no.
Poi, voi dite quello che volete...

TIM

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venerdì 9 novembre 2012

Il monastero delle anime perse, di N. Wilgus


Comprato su una bancarella di Pietra Ligure per 2,50 euro e letto in un paio di giorno sotto l'ombrellone. Tempo e soldi sprecati.
Questo Il monastero delle anime perse di Nick Wilgus promette tutto quello che non mantiene. Lasciamo stare la presentazione sulla copertina («È come leggere Sherlock Holmes, Angeli e Demoni e Il nome della rosa riuniti in un unico romanzo. Pieno di spiazzanti colpi di coda e con un tocco di spiritualità.»  Bangkok Post) ché devono pure vendere, poverini, e strombazzare affiliazioni e discendenze fa bene al marketing. Ma penso che tra tutti i libri che ho letto in vita mia, questo è uno di quelli per cui il contenuto è esattamente l'opposto di quel che viene presentato.
Andiamo per ordine e cominciamo dal riassunto tratto dal risvolto di copertina:
Il monastero di Wat Yai si trova in una sperduta campagna vicino a Bangkok. Potrebbe essere il luogo ideale per trovare la calma e la pace necessarie per meditare, se l'abate Uddi non avesse deciso di costruirvi un parco di divertimenti dove sono messi in scena i supplizi che attendono i peccatori dopo la morte: Il Giardino dell'Inferno. I visitatori sono tantissimi, tutti morbosamente attratti dalle rappresentazioni raccapriccianti e dagli animali feroci che si annidano nella macchia. Ma una mattina di novembre, una tragica scoperta rende la violenza drammaticamente reale: sorella Moi è stata sbranata viva dai coccodrilli. L'abate e la polizia sembrano ben contenti di liquidare tutta la faccenda dichiarando che si tratta di un suicidio, ma non hanno fatto i conti con la determinazione di un investigatore un po' particolare. Anticonvenzionale ex poliziotto, padre Ananda ha indossato la tonaca buddhista dopo la tragedia che ha investito la sua famiglia e nel tentativo di dimenticare si è rifugiato in un monastero di Bangkok. Ma il passato non lo abbandona tanto facilmente e le sue doti sono state notate dagli alti ranghi dell'ordine. Ecco perché, insieme al suo fedele discepolo Jak, un piccolo orfano che ha salvato dalla strada, è stato inviato a Wat Yai per indagare sul sospetto suicidio. Con le sole armi della pazienza e della meditazione, padre Ananda deve affrontare il difficile compito di sollevare il velo che copre i loschi traffici nascosti nei meandri del monastero e di smascherare alcuni monaci che non seguono affatto gli insegnamenti del Buddha. L'inferno si trova anche nel cuore degli uomini... 
Già di per sé il riassunto dice più di quello che racconta il libro. Per non parlare della conclusione della presentazione:
Coniugando sapientemente spiritualità, azione e un colpo di scena dopo l'altro, Il monastero delle anime perse è un giallo originale e avvincente, dotato di un'ambientazione unica, l'esotica e misteriosa cornice di un tempio buddhista thailandese. Nick Wilgus ha davvero inventato un nuovo genere. (i corsivi sono miei)
Orbene, l'unico genere che, secondo me, l'autore ha inventato è quello del lettore sedotto, deluso e abbandonato. 
Non si capisce poi in che modo la narrazione coniughi spiritualità e azione, quando al massimo c'è la spiegazione di qualche rito e qualche termine buddista. Ci si aspetterebbe, come promesso, una lettura della storia in stile Il nome della rosa, dove il metodo filosofico di Guglielmo da Baskerville guida anche alla risoluzione del caso. E invece: zero.
Di originale e avvincente il libro non ha proprio niente: è solo una storia di sesso tra monaci, e la cosa l'ho intuita sin dalle prime pagine persino io che sono notoriamente tardo di comprendonio.
Infine l'ambientazione unica: per quanto io sia ignorante in materia, già il monastero del già citato capolavoro (quello sì!) di Eco smentisce l'affermazione; tanto per dire. 
In definitiva il libro ha quella location (sto imparando a usare anch'io termini fighi, come quelli bravi!) solo perché il protagonista è un monaco; e mostrare il lato cattivo di persone che dovrebbero essere invece buone crea sempre un minimo di attesa in più. Se poi ci mettiamo lo sfondo di natura sessuale della storia, la pruderie aumenta l'attesa.
Ma, per rimanere in argomento, in fin dei conti si tratta solo di un coito interruptus.
I personaggi sono schematizzati e nel corso della storia non cambiano di una virgola. I dialoghi sono piatti, così come gli scenari.
Sapete che io vi rimando sempre ad una recensione seria, per capire veramente di che si tratta. Perciò se volete, in questo caso, una conferma a quanto ho detto finora, andate pure a leggere questo articolo.
In definitiva, se proprio devo dare un voto, sarà sicuramente un 3.
E penso proprio che non farò nemmeno vedere a Odette questo libro: lei è capace di leggere qualsiasi cosa con anima innocente!

Nino

(pubblicato qui)

martedì 6 novembre 2012

Il metodo Cardosa, di Carlo Parri


Dalla mia stanza della lettura scrivo questo post, il primo della serie.
Odette è da una misteriosa amica, di cui non ha voluto dirmi neanche il nome, e io sono padrone della situazione.
E inauguro la rubrica delle considerazioni di lettura con Il metodo Cardosa, di Carlo Parri.
Sempre alla ricerca di nuovi autori italiani, non mi sono fatto sfuggire questo recente volume del Giallo Mondadori. Non che tutti i volumi del GM siano buoni libri, ma ho avuto la fortuna di beccare uno di quelli giusti.
Ecco la sintesi tratta dalla IV di copertina:
Eccolo, il morto: in ginocchio davanti a un’edicola, con la faccia sprofondata tra due pile di giornali. È il primo caso di omicidio per il vicequestore aggiunto Leonardo Cardosa, fresco di trasferimento alla terza sezione della Squadra Mobile di Roma. La vittima è un importante costruttore, ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Il killer non ha esitato ad agire in presenza di testimoni né a mostrarsi a volto scoperto. Faccenda complicata, anche perché il morto, il costruttore Corcelli, era un tipo stravagante, un appassionato di occultismo con una villa piena di reperti che è un concentrato di stranezze. Per di più, c’è un altro caso che Cardosa deve risolvere: quello in cui è implicata sua sorella, che nella remota Sicilia, terra d’origine del vicequestore, è oggetto di minacce e colpi di lupara. Ma Cardosa ha un metodo tutto suo di interpretare il mondo. Lui è uno che non dà spiegazioni, che dice le cose senza preoccuparsi di essere capito. Il suo modo di pensare è come una mappa stradale, e i suoi due cervelli, come lui stesso sostiene, vedono tutto come se fosse disegnato nell’aria, perciò gli riesce difficile tradurre in parole questi schemi, queste architetture immaginarie. E tracciare la mappa mentale dei casi che sta seguendo, fra una serie di delitti, minacce mafiose e la caccia a un antico manoscritto, sarà il suo battesimo del fuoco.
qui trovate una recensione come si deve, dove ci sono tutte le cose che dovete sapere sul libro.
Io vi darò delle semplici impressioni di lettura, una lettura di pancia, come dico sempre  io.
Questo Il metodo Cardosa è, se non ho capito male, il romanzo d'esordio di Carlo Parri, anche se l'autore ha ormai passato da qualche anno la sessantina. Evidentemente anche per me c'è qualche speranza!
A parte le (facili) battute, devo dire che si tratta di un buon romanzo. Come in tutte le opere prime c'è qualche sottolineatura di troppo, qualche caratterizzazione ostinatamente superflua, qualche frase fatta da esordiente; cose insomma che anch'io che non sono nessuno farei in un'opera d'esordio. Ma se gli perdoniamo questi nei, per il resto il romanzo va che è una scheggia. La storia sembra concludersi in diversi momenti, ma l'inventiva dell'autore riesce a riaprirla quando meno te l'aspetti e in direzioni inaspettate. 
I personaggi mi piacciono, stravaganti quanto basta ma mai sopra le righe; veri insomma. 
Non so a chi potrei paragonare questo vicequestore aggiunto siciliano, ma il personaggio che più mi ha ricordato durante la lettura è stato Jules Maigret, tutto scatti bruschi e ragionamenti taglienti come un coltello. Ma (a me è sembrato) non c'è da parte di Parri nessuna volontà di riproporre un modello-Simenon: Cardosa è un Maigret di suo, senza scopiazzature.
L'unica cosa che mi ha lasciato un po' perplesso, è stata l'indagine per così dire parallela di Cardosa, quella che conduce in Sicilia, e che lo fa ritornare a vicende familiari antiche. Col senno di poi mi dico che la parte di storia in terra di Sicilia è servita a spiegarci il passato del poliziotto, ma durante la lettura la cosa mi ha un po' infastidito. Ad un certo punto mi sono detto che il libro poteva concludersi senza questa seconda narrazione, e ho malignamente pensato che il tutto fosse servito all'autore (e all'editore!) per aggiungere una quarantina di pagine al libro. Ma io sono malignetto di natura!
Per concludere, se trovate in qualche edicola o bancarella Il metodo Cardosa, non lasciatevelo scappare: leggerlo vi farà passare qualche buona ora di relax e divertimento.
Un voto? 7,5.

Nino

(pubblicato QUI)
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