martedì 26 giugno 2012

Un pacco, tre ragazze e un ginseng, di Glauco Silvestri

La grafica delle copertine di MB

è affinata da 
che ha curato anche il logo
Credo di aver acquistato il diritto ad entrare nelle classifiche del blog di Ferruccio: sono l'unico al mondo (non sto scherzando!) ad essere in possesso del volume cartaceo di Un pacco, tre ragazze, e un ginseng dell'amico Glauco Silvestri. Infatti subito dopo aver ricevuto  la mia copia, Glauco ha deciso di ritirarla dal commercio e di farne, almeno per ora, solo un ebook digitale.
Siete tutti a conoscenza de motivi che hanno spinto Glauco a ritirare il volume cartaceo dalla vendita, e mi sento in qualche modo responsabile, perché sono stato io a dargli le cattive notizie sul lavoro fatto da Lulu.
(Ora, non lo dite all'amico Glauco, ma se qualcuno lo vuole, lo vendo. Base d'asta: 100 euri sonanti. È pur sempre un pezzo unico nella storia della letteratura! È come avere una prima copia firmata dall'autore della Divina Commedia!)

E prima di parlare delle storie di Mauro Bianchi, devo ringraziare il bolognese che, nella prefazione al suo volume, mi ha citato per l'entusiasmo con cui ho accolto il suo personaggio. Non penserete, ora, che abbia scritto questo post solo per contraccambiare il favore, vero?
Torniamo al libro. Non vi svelerò, naturalmente, come va a finire questa saga investigativa. Devo comunque dire in proposito che la soluzione trovata da Glauco con l'ultimo capitolo, quello inedito, è soddisfacente e potrebbe, come gli ho anche detto in privato, aprire la strada ad una seconda serie di avventure, dove Mauro Bianchi potrebbe fare da... e no! non vi dico più niente, altrimenti vi tolgo la curiosità di andarvi a leggere l'ultimo episodio. Sappiate solo che potrebbe aver a che fare in qualche modo con le Charlie's Angels; ma questi sono pensieri miei, non dell'autore.
Dunque, dicevo della saga di Mauro Bianchi (MB). Abbiamo letto tutti i singoli episodi, rilasciati in forma di ebook gratuiti nell'arco degli ultimi mesi. 
Il titolo spiega gli elementi principali del lavoro: un pacco, tre ragazze, il ginseng.
La vicenda ruota, appunto, attorno ad uno strano pacco che entra (purtroppo per MB) nella (tranquilla?) esistenza di questo investigatore privato, appena mollato da Laura, sua morosa nonché figlia del suo precedente datore di lavoro, anch'egli investigatore privato.
Il pacco gli porta anche la presenza, e che presenza!, di una musicista dell'Est, tale Irina, la quale da subito dimostra di preferire altre arti a quelle melodiche e soprattutto di tirarsi dietro una serie di brutti ceffi.
Non bastasse questa seconda femmina nella vita di MB, troviamo la giapponesina vicina di casa, Aiko, che non fa niente per nascondere di cadere come pera matura davanti al suo fascino tutto bolognese (ma esiste un fascino bolognese?). O forse è che le donne amano gli sfigati? Non si sa, e ora non c'è tempo per sviscerare questo importante postulato. 
In mezzo a tutto questo guazzabuglio di universi femminili, galleggiano anche il suo amico poliziotto Alex, Ciro il barista (e qui veniamo a conoscenza che il ginseng è la sua bevanda preferita), il gatto Mephisto e altri personaggi secondari.
MB riesce a destreggiarsi tra attori e comprimari, sgusciando di tra le reti di mafie russe e personaggi dello spionaggio internazionale, dandole e prendendole, fino al momento in cui si trova inesorabilmente davanti la griglia del muso di una potente auto che lo travolge lasciandolo quasi morto a terra. E qui si ferma il penultimo episodio. Come se la caverà il titolare della Private Eye Investigation Agency?
Qui entrate in azione voi, che dovrete acquistare l'ebook per scoprire il finale. Ma ne vale la pena, ve l'assicuro! e poi costa solo 2,05 euro, quanto un caffè freddo in una di queste calde giornate di fine giugno!
Veniamo ora alle considerazioni generali, e un po' più serie.
Non è un segreto che a me piace la scrittura di Glauco, sin da quando lo conobbi (letterariamente parlando) tre anni fa. Non sto qui a recuperare tutti i suoi lavori che spaziano dalla fantascienza, al giallo, all'horror. Tanto per fare solo un titolo, uno dei migliori tra gli ultimi secondo me: Il Cacciatore di uomini
La serie dell'investigatore non può che confermare l'impressione positiva, da questo punto di vista. Sì, forse in qualche episodio la scrittura era troppo... scritturistica, nel senso che perdeva un po' di quella fluidità che ti fa pensare che non stai leggendo un libro, ma stai assistendo ad uno spettacolo dal reale. Ma ci può stare un leggero calo in una trama complessa che, mi rendo conto, è difficile ma tenere sempre ad un certo livello. 
E io, che sono alle prese con il mio piccolo commissariato e che comunque non ho di certo l'esperienza e la bravura di Glauco, mi rendo conto che è difficile tenere dietro a tutte le sottotrame che scaturiscono da una storia come questa.
Ogni personaggio ha una vita tutta sua (ed non è da tutti dare una personalità caratteristica ad ognuno!) e anche quelli che compaiono solo per pochi paragrafi (penso alla vecchia bigliettaia della torre degli Asinelli, nell'episodio intitolato proprio La Torre) sono dipinti bene. 
Uno dei personaggi principali, resta comunque, Bologna. La città di Glauco e di MB è un personaggio a tutti gli effetti perché la storia si svolge tra i portici e la parte storica della città (e qui sono interessanti i collegamenti ipertestuali che rimandano alle cartine) e perché i personaggi sono imbevuti di bolognesità e non potrebbero che vivere in quella città. Ma Bologna è personaggio anche perché da l'impressione di essere viva e di accogliere nel suo grembo le piccole e grandi storie di questa banda di scalmanati.
Non sono abbastanza bravo da fare paragoni alti con altri personaggi e scrittori, anche di quella terra, e non mi interessa neanche farlo visto che (come ripeto fino alla noia!) le mie non sono recensioni ma letture di pancia.
L'unica cosa che posso dire è che con MB Glauco ha messo un altro tassello nella sua personale strada di scrittore; e che (sì, lo so, così le cose sono due, ma non sottilizziamo!) meriterebbe molto di più, come tanti altri di mia conoscenza. 
Non di più nel senso della fama o dei soldi, che sono cose comunque che non guastano mai, ma di più come possibilità di esser letto. Non voglio approfondire, perché altrimenti mi impantanerei nel  fosso dei discorsi sull'editoria, della pubblicazione digitale, ecc.. E forse l'esperienza negativa avuta con una piattaforma come Lulu che fino a poco tempo fa sembrava essere un'alternativa alla classica editoria cartacea, la dice lunga su tutto questo.
In conclusione, il libro placet.
Voto: 8.
Ed ora scusatemi ma sono alle prese con un raccontino che sta fluendo dal mio neurone all'hard disk tramite le mie dita e la tastiera. Dopo l'esperimento de Il promemoria c'è quest'altra storia che ha il titolo (molto) provvisorio de Lo spretato. Chissà se vedrà mai la luce!

TIM

sabato 23 giugno 2012

Il promemoria (racconto)


È sempre bene
avere ben in mente
quello che si deve fare!

Questo raccontino è nato in modo semplice ed è frutto di una sola stesura. C'è qualcosa da limare sicuramente, specie alla fine, ma mi piace farvelo leggere così com'è venuto.
Ditemi qualcosa.





Il promemoria

“Certamente, amore, è tutto a posto!”
Giorgio, diede un’occhiata sul display al credito residuo della prepagata e si appoggiò col gomito al vetro della cabina telefonica.
“Sì, ho seguito il promemoria, come al solito. Esattamente nell’ordine che hai scritto tu!”
Certo che le donne hanno sempre qualcosa da dire e, soprattutto, ridire, su tutto.
“E poi ormai sono anni che faccio così, ed è sempre andato tutto bene, quindi penso di essere in grado di… “
Si fermò ad ascoltare il cinguettio di Sue Ellen dall’altra parte del filo.
Sue Ellen era nata e cresciuta in quella cittadina dalle parti di Bergamo, ma aveva avuto la ventura di venire alla luce nell’epoca in cui cominciavano ad impazzare le soap opera con tutti i loro personaggi dai nomi improbabili per l’italiano medio. E si era beccata quel Sue Ellen che faceva molto chic a dieci-quindici anni, ma che era diventato ormai imbarazzante.
Giorgio si fece coraggio e cercò di riprendere in mano la situazione.
“Lo so che è importante seguire i punti uno per uno… esatto... Allora, prima di entrare ho indossato la tuta in plastica… “ s’interruppe un attimo, poi “sì, certamente, ho messo anche i guanti e le soprascarpe in lattice, per le impronte. Poi dopo il lavoro ho messo qualcosa fuori posto e ho gettato a terra una lampada e un paio di sedie… “ altra interruzione e altra ripresa con tono condiscendente. “Certamente! Ho cercato di fare meno rumore possibile, ma comunque tanto il tipo abita da solo in una villetta fuori paese. Poi ho preso portafoglio e un paio di oggettini. Ah, a proposito” la voce gli si illuminò “sai che ho trovato uno zippo originale americano del primo dopoguerra? Era chiuso in un cassetto della scrivania con tanto di garanzia… no… no… certo che non l’ho preso, lo so che al numero 15 del tuo promemoria c’è scritto che non bisogna mai asportare niente dal luogo di lavoro!” e nel dirlo toccò l’oggetto che ora riposava nella sua tasca destra.
Giorgio ascoltò ancora per qualche istante, poi disse:
“Comunque ora ti sto telefonando, quindi vuol dire che siamo all’ultimo punto.”
Altra breve pausa.
“… Sì, è una cabina telefonica distante dal posto. Ora ti saluto che la scheda si sta svuotando. A tra poco, amore!... Sì, anche tu… mi manchi… bacini… “
Alla fine mise giù la cornetta e uscì.
L’aria della notte era fresca e Giorgio doveva trovare un cassonetto dove gettare la tuta e le altre cose usate per il lavoro.
Prese la moto e la fece partire in discesa, per non fare rumore: ci poteva sempre essere qualcuno sofferente d’insonnia ancora alzato alle due e mezza che poteva sentire qualcosa.
Anche se il posto era distante più di due chilometri dalla villetta dove aveva portato a compimento quell’ultima consegna (come diceva in gergo coi clienti) e lui veniva da un altro paese, non si poteva essere mai sicuri.
Ormai tra telecamere di sorveglianza (alla villetta non ce n’erano e aveva scelto un percorso fatto di vicoletti per evitare quelle nei posti classici), cellulari che possono essere facilmente rintracciati (ed ecco la telefonata dalla cabina telefonica), analisi di residui e fluidi che rasentano l’inverosimile, il suo lavoro stava diventando faticoso e pericoloso.
Quando aveva iniziato, una trentina d’anni prima, bastava una moto di grossa cilindrata, una pistola precisa e silenziosa e la consegna si poteva fare anche in pieno centro a mezzogiorno.
Ed era quello che faceva.
Poi erano arrivati i RIS, i criminologi, gli esperti forensi e, soprattutto, Sue Ellen.
Stupenda, Sue Ellen, non c’era che dire! Una Marilyn Monroe paesana, bella e raffinata come la star di Hollywood ma con quel non so che di provocante in più. Forse perché era cresciuta tra i covoni d’estate, l’uva d’autunno e la neve a Natale? Fatto sta che conoscerla e amarla (in tutti i sensi) era stato un tutt’uno.
Certo il lavoro di Giorgio era sicuro e remunerativo: 15-20mila euro al mese per 3-4 consegne. E questo aveva fatto di Sue Ellen una signora, sempre ingioiellata, alle continue prese con le unghie da laccare dalla manicure, il fondo schiena da rimodellare in palestra, il body massage direttamente a casa.
Ma si sa, quando si è innamorati si passa sopra a tutto; e poi in fondo portarsi in giro una come lei era certezza di essere considerati persone importanti, di quelli che contano.
Quello che invece proprio non andava giù a Giorgio era il promemoria.
Sue Ellen, che aveva tutto il tempo che voleva a disposizione, aveva cominciato ad interessarsi al suo lavoro. Non che andasse con lui o che lui le raccontasse qualcosa delle sue imprese, ma lei aveva preso a guardare ogni possibile film e telefilm su squadre speciali, pronti intervento e via dicendo. E piano piano aveva stilato una lista di cose da fare, o non fare, sul posto di lavoro, come celiava lei. Era stato un vero e proprio studio: se la polizia fa così, allora bisogna evitare di fare questo; se gli CSI usano questa tecnica, allora bisogna stare attenti a questo particolare.
Alla fine tutto era risultato perfetto, e Giorgio si era reso conto che quella donna era riuscita a costruire un modus operandi praticamente infallibile.
Sin dalla prima volta che l’aveva messo in pratica (era stato per una ricca ereditiera che, all’improvviso, chissà perché il marito voleva morta) si era reso conto di come sembrava un orologio svizzero.
Ma (c’è sempre un ma quando tutto scivola via perfetto) tutto d’un tratto Sue Ellen aveva preso l’iniziativa. Giorgio era diventato solo l’esecutore materiale, quasi un garzone; era lei che dirigeva la baracca, arrivando a preparargli i vestiti appesi alle grucce quando doveva uscire per una consegna.
E poi, il lavoro:  era tutto anche troppo perfetto, senza più fantasia, improvvisazione, tutto monotono.
Era diventato, insomma, appunto un lavoro: c’era chi passava la vita ad avvitare bulloni in fabbrica e chi, come lui, ammazzava persone su commissione.
Giorgio invece aveva amato il suo lavoro per quell’idea di rischio che era insita nella cosa.
Mentre rifletteva su queste cose, aveva raggiunto un cassonetto dei rifiuti in fondo ad un viale alberato, deserto a quell’ora, aveva buttato dentro l’occorrente usato per la consegna e gli aveva dato fuoco con lo zippo appena rubato. Di certo a nessuno sarebbe saltato in testa di controllare i residui dell’incendio e collegarli con un omicidio avvenuto a chilometri di distanza.
Anche questa era stata una trovata di Sue Ellen.
E ora a casa, si disse mentre ripartiva facendo impennare la moto.
E, un po’ il silenzio rotto solo dal rombo dei cilindri mandati al massimo, un po’ l’aria frizzante della notte, nella testa di Giorgio stava venendo su la nostalgia.
È vero che quando si arriva a 45-50 anni si comincia a rimpiangere la giovinezza e la prima maturità, ma questo era un pensiero nuovo per lui. Era una voglia di libertà, come se finora si fosse sentito ingabbiato.
Spense il motore a poca distanza dall’inizio del viale che portava a casa, e spinse la moto per un paio di centinaia di metri, sempre per evitare rumori sospetti a quell’ora di notte. Aprì col telecomando il basculante del garage, che non emetteva mai nessun lamento grazie all’olio lubrificante e alla continua manutenzione che gli faceva, e lasciò la moto. Salì in casa dalla scala a chiocciola interna.
Sue Ellene era lì, che l’aspettava davanti alla televisione.
Giorgio ebbe un moto di tenerezza guardandola sorridere verso di lui e mentre faceva col pollice il segno dell’OK, come ogni volta che tornava da una consegna.
Era bellissima nel suo baby doll di chiffon lilla, con le lunghe gambe scoperte distese sul divano e il corpo sodo che si indovinava sotto le trasparenze dei vestiti.
Anche Giorgio sorrise.
Poi tirò fuori dalla tasca della giacca di pelle marron la pistola appena usata, la puntò alla fronte della donna e fece fuoco.
Il silenziatore attutì il colpo della .22; al massimo qualche vicino dall’udito fine avrebbe potuto sentire il rumore di una porta sbattere in lontananza.
Andò subito a tappare con un fazzoletto il buco prodotto dal proiettile, odiava dover ripulire il sangue.
Impiegò quasi tutta la mattinata per far sparire, letteralmente, il cadavere. Lo portò subito, prima che facesse giorno, in un casolare abbandonato dove andava a fare qualche tiro ogni tanto per tenersi in allenamento. Qui, dopo essersi rivestito con la solita tuta di plastica e guanti e soprascarpe di lattice (per l’ultima volta era meglio rispettare il promemoria, anche per rispetto a Sue Ellen) tagliò il corpo della donna (sì, era proprio bella, anche da morta!) in piccoli pezzi che mise in una decina di sacchetti di plastica zavorrati con piombo da sub. Avrebbe provveduto nei giorni seguenti a portarli un po’ qui e un po’ lì: mare, fiume, lago; Sue Ellen amava molto l’acqua.
Era pomeriggio inoltrato ormai quando tornò a casa; restava l’ultimo punto del promemoria, la telefonata.
Prese il cordless e compose il numero.
“113. In cosa posso esserle utile?”
“Buona sera, mi scusi. Non so se è ancora presto per fare la denuncia, ma sono molto preoccupato per mia moglie. Ieri ha detto di voler andare a trovare la sorella ed è partita quasi di corsa. Ma Giulia, sua sorella, mi ha detto che non la vede e non la sente da molto tempo. Sa’, mia moglie è un tipo molto preciso. Al cellulare non risponde e ho paura che… . Con tutte le cose che si sentono al giorno d'oggi!

FINE

TIM

venerdì 22 giugno 2012

Molti nemici...

Sarà un capolavoro
o un fiasco colossale?
Oggi mi voglio fare dei nemici.
Un vecchio detto fascista recita: molti nemici molto onore! Non ci credo, nel senso che la frase può andar bene per un fot**to testa di... (avete capito!) o per un fallito, impedito, asociale.
Quindi molti nemici ma lasciamo perdere l'onore, almeno in queste cose, perché si parla di tutt'altra cosa.
Dicevo che è venuto il momento di farsi dei nemici, pur senza fare nomi. Non perché abbia paura di perdere contatti al blog (come sapete è una delle cose di cui mi preoccupo di meno!) ma perché conosco persone e persone che corrispondono alle categorie di cui parlerò, ma non voglio avere il rimpianto di tagliarne fuori altre che ci rientrano alla grande. Chiunque ha il diritto di sentirsi messo in mezzo!
Premesso ciò, ecco l'argomento: scrittura, libri, ebook; insomma quella selva oscura lì.
E cominciamo.
Basta zombi-vampiri-occhi deorbitati! Ho avuto anch'io il periodo zombesco, in cui ho infarcito il mio lettore di raccontini pieni di vermi che escono da orbite scarnate, effluvi di sangue marcito proveniente da brandelli di persone che continuavano nonostante tutto a camminare, canini sporgenti in cerca di un bravo dentista. Quando poi alla fine mi sono reso conto che la realtà (normalmente!) non è proprio così, e soprattutto che i suddetti racconti e il 90% di quelli considerati sacri da certa parte di lettori, sono solo un'accozzaglia di descrizioni pruriginose e autocompiacenti, ho fatto una bella pulizia, liberando un bel po' di memoria da utilizzare per altro. Attenzione! c'è modo e modo di parlare di certi argomenti, ma quando queste cose diventano il pallino principale per un lettore/scrittore, al punto che si pensa di non poter vivere senza, allora passiamo pari pari dal gusto letterario alla patologia. E alla mia età di malattie ne ho già abbastanza e sono in attesa che si facciano vedere e sentire tutte le altre che mi spettano.
Racconti stitici! Naturalmente non nel senso che hanno difficoltà ad espletare una delle pratiche più liberatorie e sane della vita umana e animale in generale. Mi riferisco invece a tutti quei racconti di autori famosi (o millantato tali) che spesso si trovano su forum, siti e antologie. Non vi è mai capitato di girare per la rete o nelle librerie o edicole e trovare volumi antologici dove spicca il nome di uno scrittore famoso e magari compri o scarichi il tomo solo per leggere quel racconto? E poi magari ti accorgi che è una storiella di 2 paginette senza né capo né coda e infarcita di errori si sintassi e ortografici?
A me sì, molte volte!
Faccio un esempio. Lo scorso anno era appena uscito il libro di una scrittrice italiana molto affermata, di cui non avevo mai letto niente, un po' perché gli argomenti che tratta non mi attraggono più di tanto, un po' perché non mi va di spendere 20euri20, quando va bene, per avere la conferma che non mi piace. Qualche giorno dopo, dicevo, vedo la pubblicità su un famoso ebook store di un suo lavoro a 99 centesimi. Bingo! ho pensato, posso finalmente leggere qualcosa della tizia e capire se fa per me o no. Ho tirato fuori la prepagata e ho pagato (cosa volete fare con una prepagata? il caffè?). Da premettere che non si diceva niente riguardo al tipo di racconto, alla lunghezza, ecc..
Scarico e... 17 paginette, di cui quasi 10 tra copertina, pubblicità dei libri dell'autrice e delle pubblicazioni della casa, introduzione e balle varie. Leggo comunque il racconto e scopro che non parla di niente! Non ha un filo logico particolare; racconta la passeggiata di un tizio (se non ricordo male) e basta. E tra l'altro non era neanche in tema con lo stile e i contenuti dell'autrice in questione. Insomma era solo una trovata pubblicitaria per sfruttare la scia del libro appena sfornato e fregare un centinaio di deficienti come me, tanto a 99 centesimi chi è che non scarica?. Almeno così l'ho visto io.
Ecco, di queste cose se ne trovano a bizzeffe dappertutto.
Ma se anche non volete lambiccarvi il cervello a trovare una storia decente, dico io, sforzatevi almeno di evitare gli errori di grammatica! A meno che non siano di quelle cose date in mano a ghost writer, e con questo la misura è colma!
E tenete conto che ho pensato di scrivere questo post proprio dopo aver avuto, ieri sera, un'altra esperienza del genere. Girando in alcuni forum e siti che vanno alla grande tra i blogger e gli amici in rete, ho trovato proprio alcuni racconti di questi autori famosi, in libera lettura. Poiché era tardi ho salvato i testi su un file e l'ho messo nel lettore. Dopo cena, sul mio dondolo preferito ho aperto l'ereader per godermi una mezz'oretta di buona lettura. Mi illudevo io! A parte un racconto giallo di un autore che non è all'altezza di vendite e notorietà degli altri (in base al comune sentire, ma che per è valido eccome! e questa ne è stata la riprova), tutto il resto era spazzatura o quasi. Volete sapere di chi si tratta? Lo volete proprio sapere? No, non ve lo dico, tanto ognuno di voi avrà una lista di scrittori, che magari conosce personalmente e di cui non ha il coraggio di dire: tizio fa schifo, perché ci farebbe una brutta figura in giro; ma poi nella propria stanzetta ha un poster con la lorofaccia e con la quale gioca a freccette. Ecco, fate conto che sia uno di quelli.
Ho scritto troppo finora e ho paura che più di qualcuno abbia già cliccato su esci dal blog o si stia per addormentare. Così accorcio.
Matusa bavosi! Mi riferisco a tutti quei personaggi che pur di restare sulla cresta dell'onda continuano a presenziare ad eventi, di cui non gli frega niente se non promuovere qualcosa, dove si fanno fotografare con donnine vestite di 6 gocce di Chanel n. 15, abbracciati a pinte di birra rigorosamente doppio malto irish (che non so se esiste, ma suona bene!). Su questi non dico niente di più; solo che ho appena inserito uno di questi in una scena del mio prossimo racconto lungo del commissario Bacone.
Ultima considerazione. Ho appena acquistato Continuum di Gianfranco Nerozzi. La fascetta dice: La potenza narrativa di Stephen King - I brividi di Paranormal Activity - Da uno degli autori della fiction Il tredicesimo Apostolo, un romanzo travolgente che non dimenticherete.
Premettendo che l'ho acquistato perché conosco l'autore e, finora, mi è piaciuto quello che ho letto, spero solo che sia veramente un libro che mantiene le promesse della fascetta. Altrimenti a chi vado a chiedere il rimborso? a Nerozzi? all'autore delle dichiarazioni di cui sopra? o direttamente a Stephen King?
Alla prossima con, spero, due parole sull'ultimo libro di... sorpresa!


TIM

giovedì 21 giugno 2012

Racconto a puntate: È solo un gioco, commissario Bacone! (6)


... e finalmente scopriamo che...
(ma dite che mi assomiglia
il primo da sinistra?)
Giuro che la prossima volta scrivo un feilleton pieno di sesso, zombi e zombi che fanno sesso, tra loro e con gli umani! E magari tiro in mezzo anche paparazzinger che oggi va tanto di moda! (o era michelunzigger?)
Per ora dovete accontentarvi dell'ultima puntata di quest'altra avventura del commissario Bacone.
Finalmente saprete a chi e perché erano dirette le frasi minacciose della lettera minatoria. Ma c'era davvero una lettera minatoria? E Tarantino? E Arturo Marcone omonimo del professore?
Sono solo 1500 parole, cinque minuti, e l'enigma è sciolto.
Buona lettura!


È solo un gioco, commissario Bacone!


Personaggi:
Arturo Marcone: destinatario di una lettera
Francesco Bacone: commissario
Stefano Conci: ispettore (come semplice comparsa)
Marika Garrone: assistente
Nino Geremicca: agente
Gennaro Bellagamba: agente scelto
Gegè: barista


Ma non ci volle molto.
Il telefono interno squillò dopo poco.
“Dimmi Nino.”
“C’è un ragazzo che dice di dover parlare con l’assistente Garrone, ma la ragazza dice di mandarlo da voi. Che devo fare?”
“Mandalo pure, e fai venire pure Garrone. Anzi fallo accompagnare da lei.”
Bacone ebbe un sorrisino impercettibile.
Un paio di minuti dopo Marika Garrone stava bussando alla sua porta, anche se questa era aperta.
“Posso?”
“Entra, pure.”
Dietro di lei entrò un ragazzo sui trent’anni, camicia aperta e un panciotto di tela a disegni vivaci anch’esso aperto. Niente capelli lunghi o barba incolta. Un ragazzo normale, insomma, pensò Bacone, meno male.
“Prego signor Marcone, si accomodi” disse il commissario. Poi, dopo che gli ebbe stretto la mano e i nuovi entrati ebbero preso posto sulle sedie in legno davanti alla sua scrivania continuò:
“L’assistente Garrone le ha accennato qualcosa?”
“No veramente, no. Mi devo preoccupare?” chiese Marcone, a cui stava cominciando a formarsi una ruga sulla pelle abbronzata della fronte.
“Tutto dipende da quello che ha da dirci lei.”
“A proposito di che?”
Bacone riassunse i fatti ad Arturo Marcone jr., ma senza dire che avevano scoperto il titolo del film.
“Così sappiamo che la lettera era indirizzata a lei e che si tratta di frasi da film, ma per il resto… “
Il ragazzo cominciò a ridere fragorosamente, lasciando a bocca aperta i due poliziotti.
“Non pensavo che il Movie Quiz avrebbe potuto essere pericoloso tanto da mettere in allarme la legge!” disse continuando a ridere.
“Scusi, signor Marcone, vuol dire anche a noi cosa c’è da ridere in modo così chiassoso e cosa è questo Movie Quiz?” chiese Bacone quasi infastidito.
“È solo un gioco, commissario!”
“Un gioco?” intervenne Marika Garrone.
“Un gioco, un gioco!” ripeté il ragazzo, ricomponendosi. “Il Movie Quiz è un gioco di tipo cosiddetto round robin. Cioè una specie di catena di sant’antonio, un gioco guidato da qualcuno, chiamato Quizmaster, che in invia al primo partecipante una busta con alcune frasi da un film più o meno famoso.” Marcone jr. accavallò le gambe e girò con lo sguardo tra i due poliziotti, come per vedere se lo stessero seguendo nel ragionamento. “Ok? Ora questo primo concorrente deve indovinarne il titolo del film, inviare la soluzione al Quizmaster che, se la risposta è esatta, gli manda l’indirizzo del secondo della lista. E così via fino all’ultimo dei concorrenti iscritti per quel round. È chiaro?”
Bacone e Marika si guardarono e poi si girarono verso il ragazzo.
“Sì, di chiaro è chiaro” rispose il commissario. “Certo che però per un gioco simile e un portalettere distratto per poco non veniva un infarto al… “
Lo squillo del telefono interruppe Bacone. Pronunciò un paio di e quindi disse:
“Fai passare.”
“Ecco, lupus in fabula. Sta arrivando il professor Marcone!” annunciò.
Il ragazzo si girò verso la porta, da dove dopo qualche secondo comparve la sagoma impeccabile del suo omonimo.
“Posso?” chiese l’uomo.
“Certamente! Si accomodi, professore.”
Marika lasciò il posto a Marcone sr., che sedette tenendo il cappello in mano.
I due omonimi si guardarono, poi il più giovane tese la mano all’altro alzandosi in un mezzo inchino e si presentò.
“Allora è lei?” esclamò l’anziano
“Sì, sono proprio io la causa di tutta questa giostra.”
Bacone riassunse al professore tutta la storia del Movie Quiz.
Il professore rimase per un po’ in silenzio e nessuno nella stanza osò dire niente.
Poi disse:
“Però come gioco è intelligente. Bravi! Diciamo che se fossi ancora a scuola vi darei un bell’otto per l’inventiva!”
“Beh, naturalmente non possiamo consultare internet o altro per scovare la provenienza delle frasi, tutto deve essere fatto a memoria.”
“E se qualcuno bara?” intervenne Marika.
“Vede, la sua è la tipica mentalità da poliziotto!” intervenne il professore. Poi si accorse del tono quasi accusatorio. “Mi scusi… volevo dire che non dobbiamo sempre pensare male dei giovani e della gente in generale. Anche se devo dire che per qualche momento ho proprio pensato che tutto il mondo ce l’avesse con me!”
“È vero. Nel nostro gioco la prima regola non scritta è che nessuno può far ricorso ad aiuti esterni, di alcun tipo. Può solo andarsi a riguardare i film che gli sembrano più probabili e cercarsi la soluzione.”
“Non è facile!” intervenne Bacone.
“Dipende. Ogni partecipante è un cinefilo incallito e ha visto centinaia, forse migliaia di film in vita sua. Una prima scrematura la si può fare già dal tono delle frasi. Quelle che lei mi ha fatto leggere sono sicuramente da qualche film dove impazza la violenza e dal tono ironico delle battute… “
“Ironico?” stupì il professore.
“Sì, ironico, anche se può sembrare solo volgare. Vede quel ho una cura medievale per… insomma e tutto il resto. C’è solo un autore che riesce ad arrivare a tanto, e se non sbaglio alla grossa si tratta di Quentin Tarantino. Quindi potremmo parlare di Pulp Fiction.”
“Esatto” disse Bacone.
“Anche lei appassionato di cinema!” chiese illuminandosi Marcone jr.
“No, è che il tizio al bar, come le ho raccontato prima, mi ha detto che si trattava proprio di quel film. Sempre che non si sia sbagliato anche lui.”
“Non penso abbia sbagliato. È Tarantino, è sicuramente Tarantino!”
 “Bene, signori. Io vado via ché ho il mio giro da fare, altrimenti il verduriere e il lattaio si preoccuperanno non vedendomi passare.”
“E mi scusi se a causa mia ha passato un brutto quarto d’ora. Ma come ha potuto sentire la cosa non è stata voluta.”
“Non si preoccupi. Diciamo che è stato un diversivo. E poi, come dice il poeta: Succeda quel che succeda, i giorni brutti passano, esattamente come tutti gli altri.
“Quale poeta?” chiese Marika Garrone.
“Eh, ragazza, dovrebbe saperlo, anche se certe cose ormai non le legge più nessuno. Anzi facciamo così, visto che siamo in tema di giochi: scopra di chi è questa frase e mi chiami; non è detto che non si possa cominciare anche noi un… come l’ha chiamato… un robin hood?”
“Un round robin, professore!” rispose Marcone jr..
Marika Garrone si alzò di scatto dalla sedia, girò attorno alla scrivania del commissario e tirò la tastiera verso di lei.
“Ma che fai?” disse Bacone preso alla sprovvista.
“Cerco la frase con Google!”
“E no! Si ricordi: non sono ammessi aiuti esterni, vero signor Marcone?” disse il professore.
“Certo. Ma questa io la so! È facile! Si tratta di… “ e nel dire così si alzò e mormorò qualcosa nell’orecchio del professore che rispose, spalancando gli occhi:
“Eccellente! Esatto! Ma come ha fatto?”
“Si ricordi che da quell’autore hanno tratto decine e decine di film!”
Bacone stava gustandosi la scena.
Il professore e il giovane Marcone salutarono e uscirono insieme dalla stanza, chiacchierando quasi fossero due vecchi amici o il nonno col suo nipote prediletto.
Marika rimase lì, delusa e un po’ arrabbiata, per essere stata ancora una volta irruenta davanti al suo capo.
“Devo scoprire chi ha pronunciato quella frase!” fece d’un tratto. “È una sfida, tra me e il professore!”
“Esatto. Ma si ricordi, signorina, nessun aiuto esterno!” chiosò Bacone con tono accademico.
“'Mi ci vorrà un po' per scoprirlo, però alla fine ci riuscirò!” Poi sembrò pensarci su un attimo, quindi continuò: “E allora la propongo io una frase al professore da indovinare. Ne ho già una in mente”. 
'Che frase?' s’incuriosì Bacone.
Marika ci pensò un po’, poi disse recitando a memoria: “Madonnina, e mo' questa come si siede senza fare vedere le mutande? Sempre se le porta! stava pensando l'ispettore mentre la ragazza, dopo aver salutato stringendo la mano ai due, si accomodava a sua volta, accavallando le gambe.”
 “E di chi è ‘sta frase sconclusionata?” chiese il commissario. 
“Ma come? Non l'ha mai sentita? È di Temistocle Gravina!”.
“E chi lo conosce?” esclamò Bacone. “Che autori strani che leggi! E poi con quel nome!”

D’un tratto si chiude lentamente sulla stanza del commissario Bacone un sipario di panno rosso, con cordigli dorati, come nei vecchi teatri della vecchia commedia dell’arte.
Poi, una voce fuori campo:
E voi, gentile pubblico e gentili lettori, anche se non conoscete Temistocle Gravina, fa niente, siete scusati; effettivamente Marika Garrone legge cose ben strane. Ma la frase del professore dovreste conoscerla? O no?
Qualche istante di silenzio, poi la voce continua:
No? Non ci siete arrivati? Eppure è facile: Sheakspeare mette questa frase in bocca a Macbeth nella III scena del I atto dell’opera omonima. C’è tanto da imparare anche dalle cose antiche!
Si ode qualche sparuto applauso; poi un rumore di sedie strascinate e la sala si svuota lentamente, finché resta solo un mare di cartacce in terra.

Fine

TIM

P.S.: il terzo episodio del Commissario Bacone è già in lavorazione e avrà come protagonista qualcuno che chi frequenta questo blog conosce bene. Un po' come è stato per l'episodio con Davide Mana. Vi siete perso quel racconto? Di corsa a leggerlo!

mercoledì 20 giugno 2012

Racconto a puntate: È solo un gioco, commissario Bacone! (5)


Sicuramente non è un'auto per Bacone,
ma in un prossimo futuro
potrebbe calcare questi schermi!
Piccolo sipario, in attesa del finale.
Dove, comunque, si scopre qualcosa che riguarda un'altra indagine di Bacone. Ma questa è un'altra storia, anzi proprio un altro racconto, che ancora non esiste; o meglio esiste già tutto nella mia testa, quindi è come dire che non esiste.
Insomma, per farla breve: ecco la quinta puntata di:










È solo un gioco, commissario Bacone!


Personaggi:
Arturo Marcone: destinatario di una lettera
Francesco Bacone: commissario
Stefano Conci: ispettore (come semplice comparsa)
Marika Garrone: assistente
Nino Geremicca: agente
Gennaro Bellagamba: agente scelto
Gegè: barista


Lo vide appena entrato.
“Ah, commissario! Stavo proprio dicendo a Nino che se tutti fossero come Arturo Marcone, noi saremmo disoccupati da un pezzo.”
“Quale Arturo Marcone?” chiese Bacone che aveva dimenticato di aver assegnato a Gennaro la ricerca su eventuali precedenti di Marcone il giovane.
“Tutti e due. Il professore l’abbiamo visto l’altro giorno e solo a guardarlo si capisce che non farebbe male ad una mosca. Ma anche il giovane non scherza. Mai una multa, mai un’infrazione, niente di niente. Ho persino chiamato Savelli, l’amico mio poliziotto che fa il servizio per strada: nessuno lo conosce né si è mai lamentato di lui.”
“E così siamo punto e a capo. Non ci resta che aspettare che torni dalle vacanze.”
Ma Bacone doveva parlare urgentemente col cervello di Marika Garrone.
“Dov’è la Garrone, Geremì? chiese al piantone.
Nino Geremicca lo fissò con lo sguardo di io mi faccio i fatti miei. Poi disse:
“È in ufficio, credo.”
Bacone filò per il corridoio, ripassandosi mentalmente tutto quello che aveva saputo al bar da Gegè: il film, le frasi, Tarantino.
E questo ripetè a Marika, che chiacchierava con l’agente Giusy Monaco, appena arrivata anche lei.
“Ma questo che senso ha? È uno scherzo?” chiese Marika a nessuno in particolare.
“Non so. Comunque anche se dovessero essere frasi dalla sceneggiatura di un film, rimangono sempre frasi minacciose, quindi oltre allo scherzo io rimarrei ancora sull’intimidazione.”
“Le frasi sono sicuramente da Pulp Fiction” disse l’agente Monaco, coda di cavallo appena accennata e lenti senza montatura, che nel frattempo si era messa al computer. “Ecco qua… Con te non ho finito neanche per… , ho una cura medievale per il… avete capito insomma, quelle frasi lì. Su questo sito dice che sono dalla sceneggiatura di quel film.” Attese qualche istante, in cui continuò a battere sulla tastiera, poi continuò “E anche le altre ci sono, sono tutte da lì!”
I tre poliziotti si guardarono, poi le due ragazze fissarono Bacone, che inarcò le labbra e alzò e abbassò le braccia a dire mbah!
“Aspettiamo” disse infine il commissario “aspettiamo che torni Marcone. A proposito, hai avvisato il vecchietto che il pericolo per lui è scampato?”
“Dovevo?” chiese Marika. Poi guardando l’espressione di Bacone, disse ancora: “Potevo?”
Bacone la guardò e disse:
“E che aspetti? A quest’ora le sue coronarie staranno ballando la samba!”

 ****

Il giorno prima Bacone era stato dal vicequestore (a cui non avrebbe mai perdonato di avergli appioppato quel pacco di Conci) per discutere di un vecchio caso seguito dallo stesso Pomelari quando ancora era commissario. Era qualcosa che riguardava Guarino Teti, detto Spadino per via del naso, un conte che tutti consideravano un gagà, ma che Bacone aveva conosciuto sotto un’altra luce.
Molti anni addietro era morta la donna che Spadino avrebbe dovuto sposare, proprio poco tempo prima del matrimonio e, dalle parole di una conversazione avuta al Libro-Caffè, Bacone si era fatto l’idea che quella morte non fosse stata proprio un incidente.
Pomelari era stato molto evasivo sull’argomento, con un discorso pieno di non ricordo, può essere; e quando Bacone aveva chiesto di poter effettuare qualche altra ricerca, il vicequestore aveva tagliato corto con un ormai il caso è chiuso.
Quest’atteggiamento di Pomelari non l’aveva messo sicuramente di buon umore e, per tutta la giornata non aveva fatto altro che prendersela con tutti. E meno male che Conci non era in sede, perché l’aria era proprio brutta. Tanto che anche Bellagamba aveva rinunciato ai suoi gorgheggi napoletani per tutto il pomeriggio.
E poi c’era quell’attesa, l’attesa del ritorno di Arturo Marcone dall’Irlanda o da dove diavolo si trovava in vacanza.
Altra giornata, perciò, questo sabato.
Gli uffici erano quasi vuoti, il personale al minimo, ma sapeva che Marika Garrone ci sarebbe stata, anche se poteva benissimo restarsene a casa. E ci sarebbe stata proprio perché quel sabato  sarebbe dovuto arrivare Marcone.
Bellagamba non c’era, mentre Geremicca era come sempre al suo posto, nella sua garritta, come la chiamava lui.
Approfittò della mattinata tranquilla per rivedere vecchi verbali, firmarne di nuovi, sbrigare tutte le formalità burocratiche accumulate durante la settimana.
Marika Garrone riuscì a trovare una scusa ogni cinque minuti per affacciarsi nell’ufficio del commissario e chiedere se c’erano novità su Marcone.
Alla fine Bacone le disse:
“Senti, telefonagli così ci togliamo il pensiero. Il numero ce l’hai.”
“E cosa gli dico?”
“In che senso?”
“Nel senso che gli racconto il fatto o l’invito solo a venire qui da noi?”
“Ma no! Non stare lì a fare tante chiacchiere! Gli dici che gli dobbiamo parlare per un controllo di routine. E poi magari la signora del piano di sopra gli ha già detto della nostra visita l’altro giorno.”
L’assistente Garrone lasciò l’ufficio di Bacone con un a gli ordini, capo! entusiasta e sparì per cinque minuti.
Quando Bacone disperava ormai di rivederla, eccola spuntare dalla porta e sedersi davanti la sua scrivania.
Il commissario prese a fissarla e rimase in attesa.
“C’è qualcosa che non va, commissario?” esordì la ragazza. “Qualcosa nell’uniforme? Sono spettinata?” chiese preoccupata, e così dicendo si passò una mano nei capelli corti e si stirò la piega dei pantaloni.
Allora, commissario, ho chiamato!... posso sedere?… Ah, sì, grazie… allora… “ fece Bacone imitando una voce femminile. “Bene, adesso che i preliminari sono stati fatti, dimmi pure. Hai trovato Arturo Marcone a casa?”
“Ma… pensavo che potevamo… ci siamo visti pochi minuti fa… “ farfugliò Marika.
“A volte non hai il senso della misura! Passi da un eccesso all’altro! Io non sono per le formalità, ma quando cominciano a darsi per scontate alcune cose, c’è il pericolo che alla fine non si rispettino più i ruoli.” Bacone non si stava scaldando, ma il suo tono era secco. “Tu sei intelligente, anzi molto intelligente, e io ti apprezzo per questo, abbiamo bisogno di persone come te! Ma noi non siamo una famiglia nel senso tradizionale del termine.”
“Ma io… non volevo mancare… “
“Quando alcuni colleghi mi dicono: nel mio commissariato siamo tutti una grande famiglia! Io penso subito che lì dentro non si capisce niente e che ognuno fa quello che gli pare. Perché alla fine è così che va a finire.” Prese un attimo di fiato. “Non si tratta di mancanza di rispetto, quella è altra cosa” e fece un segno col capo verso la scrivania di Conci, vuota. “A me piace che tutti si sentano amici, anche al di fuori del lavoro, ma alcuni punti fermi di convivenza ci devono essere. Non voglio che ogni volta bussi e aspetti che ti dica di parlare, ma quanto meno che la discussione inizi nel modo giusto. Bene, e ora dimmi qual è la notizia.”
Marika rimase senza fiato, senza sapere se quella del capo era una sfuriata, una considerazione un po’ accaldata o che.
Bacone insistette:
“La notizia?”
“Sì… la notizia… “La ragazza riprese coraggio. “La notizia è che ho rintracciato Marcone e sarà qui tra poco, sicuramente entro mezzogiorno. Penso di averlo tirato giù dal letto.”
“A quest’ora?” si stupì Bacone.
“Dice di essere tornato stanotte dall’Islanda… o dall’Irlanda non ho capito bene, aveva la voce impastata dal sonno… e quindi non aveva neanche visto la vicina di casa.”
“Bene” Bacone si appoggiò allo schienale della poltrona. “Non ci resta che aspettare. Ancora.”
Marika attese qualche istante. Poi si alzò e si avviò verso la porta. Stava per uscire quando rispuntò con la testa nella stanza e disse indicando col dito il corridoio:
“Posso… “
E Bacone fece il gesto del vai con la mano.
Ora bisognava attendere.

TIM

lunedì 18 giugno 2012

Racconto a puntate: È solo un gioco, commissario Bacone! (4)


Tornano i magnifici 5!
Forse oggi ne sapremo un po' di più
sul loro conto!
E qui mettiamo un altro tassello per la risoluzione del mistero!



È solo un gioco, commissario Bacone!




Personaggi:
Arturo Marcone: destinatario di una lettera
Francesco Bacone: commissario
Stefano Conci: ispettore (come semplice comparsa)
Marika Garrone: assistente
Nino Geremicca: agente
Gennaro Bellagamba: agente scelto
Gegè: barista



Come sempre il locale era pieno di fumo di sigarette.
Gegè vide Bacone e lo salutò.
“Commissario Bacone!”
“Ma non c’è il divieto di fumo nei locali pubblici, Gegè?”
Il barista si guardò attorno, poi con aria innocente disse:
“Commissà, se li conta qua dentro ci stanno quattro poliziotti, il dottor Condrò, io e lei. A chi intimo di smetterla ed eventualmente faccio la multa?” Gegè fece una pausa scenica.“O la vuole elevare lei la contravvenzione? Se preferisce, nella mia qualità di incaricato responsabile della legge antifumo per questo locale” e indicò la targhetta no-smoking,” le faccio la denuncia contro questi avventori che fumano. Procedo?”
“Un orzo all’anice, Gegè” recitò Bacone scrollando le spalle.
“Subito, commissario!” e si girò verso la macchinetta per l’espresso. Poi armeggiando coi filtri, disse:
“Mi permette una domanda indiscreta, commissario?”
“Se non è troppo indiscreta… “
“Spero di no!” si girò un attimo verso il poliziotto e continuò. “Ma quel nome, Bacone, da dove viene?”
“In che senso, Gegè? È il mio cognome!”
“Sì, ma non è normale. E poi, detto tra di noi e senza offesa” e si rigirò verso la macchinetta dove l’orzo stava per riempire la tazza, “se io fossi un personaggio televisivo o il protagonista di un libro e avessi quel nome, mi rifiuterei di esistere. Anzi sputerei proprio in un occhio a quello che mi ha chiamato così.”
Tornò a voltarsi verso il bancone e poggiò la tazzina davanti al commissario.
“Non suona bene. Con tutto il rispetto, eh! Ma vuole mettere: commissario Maigret, tenente Colombo” e sembrava recitare locandine di film di successo “Ti riempi la bocca.”
“Gegè, ma stamattina ti sei svegliato polemico o ce l’hai solo con me! Perché anch’io ce l’ho un po’ girate oggi!”
Gegè alzò le mani in segno di resa e disse:
“Non sia mai, dottò! Con tutto il rispetto che ho per lei! Ci mancherebbe! Se si è offeso, mi scuso con lei!”
“Niente offesa Gegè. E grazie dell’orzo.”
Bacone tirò fuori dalla tasca la copia della lettera arrivata a Marcone, la mise sul bancone e continuò a sorseggiare dalla tazza. Ogni tanto prendeva il foglio e lo rileggeva.
Gegè finì di servire il caffè ad un tipo smilzo appena arrivato, che rivelò subito il vezzo di alzare il mignolino portando la tazzina alle labbra. Poi diede uno sguardo di sbieco al foglio del commissario. Corrugò per un attimo la fronte come sovrappensiero e si rigirò verso le sue macchine.
Hai sentito che ho detto, pezzo di merda? Con te non ho finito neanche per il cazzo, ho una cura medievale per il tuo culo ! lesse Bacone a voce appena superiore al sussurro.
Lo smilzo alla sua destra si girò verso il commissario e lo guardò di traverso. Lo fissò per qualche secondo senza che Bacone se ne accorgesse.
Poi il commissario lesse anche la seconda frase con lo stesso tono basso:
Lascia la città stasera, all'istante, e una volta fuori resta fuori, o ti faccio fuori.
“Tu, ce l’hai con me? Eh, dico a te!”
L’uomo del mignolo, che ora aveva l’indice puntato, si era alzato e fronteggiava Bacone, anche se, pur in piedi, arrivava poco più in alto della testa del commissario seduto.
“Ehi, bello, che ti prende!” fece Gegè voltandosi di scatto.
“Hai sentito quello che sta dicendo questo tipo?”
Questo tipo, come lo chiami tu, è un commissario di polizia, il commissario Bacone.” Gegè cominciava a scaldarsi, forse memore dei tempi del suo vecchio locale che non era frequentato propriamente da forze dell’ordine.
“E allora perché mi dà del pezzo di merda e mi minaccia?”
“Che stai dicendo?”
“Lascia, Gegè, è colpa mia. Stavo leggendo ad alta voce le frasi scritte su questo foglio.”
Poi rivolgendosi allo smilzo:
“Mi scusi, non avevo fatto caso che qualcuno potesse sentire.”
L’uomo parve calmarsi e risedette sullo sgabello.
Gegè guardò il commissario come per dire: pure lei ci si mette! e poi disse:
“Va bene, storia chiusa.” E mimò con l’indice e il medio il gesto del taglio.
L’uomo finì il suo caffè, pagò e fece per andarsene. Arrivato a metà sala tornò indietro e sedette nuovamente sullo sgabello, per rimettersi all’altezza degli occhi di Bacone.
“Commissario, ma perché si porta appresso le battute dei film sui foglietti? Cos’è, vuole fare l’attore?”
“Le battute dei film? Che sta dicendo!” lo guardò stupito Bacone.
“Ma sì, quello che leggeva prima. Ho una cura medievale per il tuo culo, e via dicendo. Sono battute del film Pulp Fiction, ha presente?”
Bacone guardò prima l’uomo, poi Gegè, poi il foglietto.
Pulp fiction?” disse incredulo.
“Sì, Pulp fiction, il film di Quentin Tarantino, ha presente?”
“Certo che ho presente! E lei come fa a ricordarsele?”
“Si può dire che le sappia tutte praticamente a memoria, dalle gran volte che ho visto il film. E poi sono rimaste nella storia, chiunque conosca Tarantino le riconosce subito!”
“Ma allora… “ iniziò a dire Bacone, ma si fermò lì.
“Allora cosa?” intervenne Gegè.
“Niente, niente. Pensavo ad un caso che abbiamo sotto mano.”
“E che c’entra Tarantino?” chiese lo smilzo.
“Non posso parlare di niente, per ora. L’inchiesta è ancora aperta. Comunque grazie, penso che mi abbia dato una buona mano.”
“Se lo dice lei” rispose l’uomo per nulla convinto.
Scese dallo sgabello e si avviò verso la porta. Prima di uscire si girò verso il bancone e scandì ad alta voce:
“Mi sembra che c’è un po’ troppo fumo qua dentro per essere un bar, poliziotto!”
Tutti in sala si girarono verso lo smilzo; lui aprì la porta e uscì.
Gegè guardò il commissario, che gli ricambiò lo sguardo con l’aria di: che vuole da me?
Condrò, maresciallo della Finanza, vecchia conoscenza di Bacone, da quando aveva condotto un’indagine su un traffico di valuta falsa e aveva chiesto il suo aiuto, lo guardò sorridendo da dietro le lenti spesse sormontate da folte sopracciglia, alla Groucho Marx. Poi estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca e fece il gesto di offrirgliene. Quindi tornò a leggere la Gazzetta dello Sport.
“Bene, Gegè, vedo che sei in buona compagnia oggi” disse indicando Condrò. “Ti lascio al tuo lavoro, che devo correre in commissariato.”
Stava per uscire quando si fermò, tornò indietro e disse al barista:
“Mi dai quel cartello?” indicando il no-smoking.
“Cosa ci deve fare?”
“Me lo porto via, tanto per quello che serve!”
Gegè prese il cartello e lo porse al commissario.
Bacone lo afferrò con due dita, quasi fosse un’arma pericolosa, allungò fino al tavolo di Condrò e lo posò sulla Gazzetta. Salutò con un mezzo inchino il finanziere e andò via.
Giunse in commissariato dopo una passeggiata di una mezz’oretta, che gli servì a ripulirsi il cervello e schiarirsi le idee.
Bellagamba lo stava aspettando all’entrata, chiacchierando con Geremicca.
Bacone sperò che non ci fossero brutte notizie.

TIM
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